MUSICOTERAPIA
CARLO COSSUTTA
TEMPLARI IN MUSICA        








GRUPPO STUDI DI MUSICOTERAPIA
DI TRIESTE

Il Gruppo Studi di Musicoterapia di Trieste, storicamente uno dei primi in Italia, è stato fondato, ancora negli anni settanta, dall'attuale Presidente Onorario Giorgio Blasco, Luigi Mauro e Mario Vatta.

Composto da figure qualificate e altamente preparate, quali il neuropsichiatra, lo psicologo, il musicoterapeuta, il musicista e l'educatore, il Gruppo sta attuando una serie di interessanti ricerche, svolte non necessariamente o esclusivamente nell'ambito di situazioni patologiche, ma anche in quello a carattere più normale e quotidiano.

Tra i vari aspetti inerenti il campo d'azione della Musicoterapia, uno spazio particolare viene dedicato alle tecniche di respirazione e rilassamento, particolarmente rivolte a musicisti, artisti, esecutori, professionisti e studenti.

Il lavoro (trattamento) viene svolto in fasi successive a cura degli operatori del gruppo, i quali operano, a seconda dei casi, sia singolarmente, che in équipe.

Coordinatore: Giorgio Blasco
(dalla rivista "TS ArteCultura")
Un uomo dell'altro secolo, proiettato al futuro
IL MAESTRO LUIGI MAURO
L'eredità di un grande educatore e musicista, amico di Carl Orff
(di Giorgio Blasco)
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       "Chi era il maestro Luigi Mauro? Ci parli di lui!", mi chiedono spesso giovani musicisti, ma anche insegnanti di musica, allorchè, in un modo o nell'altro, vengono a sapere che, oltre ad averlo ben conosciuto, avevo avuto anche la fortuna, ma soprattutto l'onore di collaborare con lui.

       Era nato nel lontano 1905 a S. Bartolomeo, vicino a Muggia, proprio dove ai giorni nostri corre la linea di confine sul litorale tra Italia e Slovenia e dove, come egli amava dire scherzosamente, cominciava l'Istria.

       Dopo gli studi magistrali e quelli musicali, compiuti a Trieste, era partito quasi subito per andare ad insegnare presso le scuole elementari italiane all'estero, dove si era soffermato per un lungo periodo, Spagna, Francia, Austria e quindi il ritorno definitivo nella sua città, che lo ha sempre visto attivissimo. Sono centinaia, forse migliaia, i giovani e gli allievi che lo hanno avuto per maestro durante i tanti anni della sua carriera, che lo ha visto pure impegnato nella diffusione in Italia del famoso metodo didattico musicale per bambini che prende il nome dal grande compositore bavarese Carl Orff, l'Orff Schulwerk appunto, da lui approfondito con grande passione e convinzione a Salisburgo, arrivando al punto che lo stesso Orff aveva delegato proprio Luigi Mauro a stilare la versione italiana del citato metodo di grande diffusione internazionale e che, nella fattispecie, prevede l'uso e l'armonizzazione di melodie popolari italiane al posto di quelle tedesche contemplate nella versione originale.

       Sin dall'inizio della sua attività, Mauro si era costantemente dedicato all'insegnamento della musica ai bambini, ma in maniera attiva, facendola amare ad intere generazioni attraverso la pratica diretta, con l'uso sia della voce che degli strumenti e del movimento. Per lunghi anni era stato incaricato pure dei corsi di aggiornamento musicale per insegnanti elementari e medi, iniziative sempre seguite da un gran numero di studenti adulti entusiasti ed affezionati.

       Convinto dei poteri magici della musica come linguaggio universale, del fatto che è la parola a generare il ritmo, che a sua volta stimola il movimento, il quale favorisce il canto (la melodia), facoltativamente sostenuto dalla sonorità strumentale, si era dedicato con instancabile energia anche al lavoro con i bambini handicappati presso l'Istituto Rittmeyer di Trieste, approdando quindi, da autentico pioniere, al campo della musicoterapia, tanto da promuovere la costituzione del Gruppo Studi di Musicoterapia di Trieste e Venezia Giulia.

       Tra le sue produzioni più importanti vanno assolutamente ricordate, per il largo seguito riportato presso gli operatori del settore, la pubblicazione della raccolta di armonizzazioni di filastrocche, melodie pentatoniche e danze infantili, opera intitolata "La parola si fa musica", stampata per le Edizioni Fonografiche Musicali Pro Civitate di Assisi e tuttora largamente adottata non solo nelle scuole pubbliche. In essa ogni brano viene considerato sotto l'aspetto letterario, ritmico, motorio, tonale, armonico, formale, didattico e musicoterapeutico e un'attenzione costante, all'insegna del motto "Ubi melos nec ibi malus", è rivolta anche ai possibili contributi che la musica, con le sue componenti, può apportare ai bambini disturbati, con una metodologia che, partendo dallo stimolo all'imitazione, come ricerca di una via alternativa per la comunicazione non verbale, procede cercando di raggiungere la meta dell'improvvisazione musicale, magari di un'azione musicale supportata da una coreografia suggerita dagli stessi allievi.

       Il consiglio che egli rivolge ai docenti è quello di evitare l'uso di musiche prefabbricate, anche se di grandi autori, ma di basarsi sul patrimonio della propria musica popolare, come ad esempio le ninne-nanne, geneticamente più vicina e "sentita" dai bambini, adattandola in prima persona, armonicamente e strumentalmente, alle varie situazioni contingenti, conformemente al dettato del grande violinista Jehudi Menhuin, il quale usava proclamare "Facciamoci da noi la nostra musica". Il "credo" costante di Luigi Mauro si può riassumere nella raccomandazione sacrosanta di non dimenticare che musicisti, o più modestamente "musicanti", si diventa soltanto "facendo" attivamente musica, cioè cantando, suonando, danzando e non unicamente "ascoltandola", anche se purtroppo a volte, mimetizzando in tal modo la propria scarsa preparazione, ciò può sembrare più comodo a certi pseudo-insegnanti.

       La socializzazione dei giovani e la loro integrazione nel gruppo è stata la meta sempre ricercata nelle sue molteplici iniziative. In quest'ottica, da Direttore del Ricreatorio comunale "E. Toti" di S. Giusto prima e dello "Stuparich" di Barcola poi, aveva dato grande impulso alla sezione banda e al coro.

       Profondo conoscitore della lingua tedesca, ha curato pure la traduzione italiana del fondamentale saggio intitolato "Musicoterapia-Orff", di Gertrud Orff, moglie del compositore. Ma è stato pure autore dell'operina "La rosa alpina".

       Luigi Mauro, oltre a conoscere discretamente il pianoforte e la chitarra, è stato pure un buon suonatore di viola e, nonostante i suoi infiniti impegni, trovava sempre il tempo per suonare, senza mancare nemmeno ad una prova, anche nell'Orchestra Triestina da Camera diretta da Fabio Vidali e nell'Orchestra da Cappella della Chiesa della Madonna del Mare, diretta dal compositore Guido Dal Cengio, meglio noto come padre Teodoro.

       Sono veramente tante, anzi infinite, le persone di ogni età che hanno avuto, come me, la grande fortuna di incontrarlo, conoscerlo e soprattutto apprezzarlo, prima della sua scomparsa, avvenuta improvvisamente alcuni anni or sono. Tutte queste persone, che in misura diversa hanno acquisito qualcosa della sua preziosa eredità, continuano a parlare di lui come se egli dovesse comparire da un momento all'altro, elegante come sempre, con il suo eterno sorriso incorniciato dai baffetti e con la cravatta colorata, civettuolamente esposta sopra il gilet, pronto ad insegnare cose sempre nuove, con tono burbero e nel contempo cordiale e con quel fascino "da vero signore" che tanto piaceva - e perché no? - anche al gentil sesso."




(dalla rivista "TS ArteCultura")
Tra le migliori voci del XX secolo
CARLO COSSUTTA
Un ricordo del grande tenore triestino
(di Giorgio Blasco)
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Carlo Cossutta e Giorgio Blasco ai Corsi Internazionali
di "HORTUS NIGER" Summer Musica Festival
       L'anno scorso, proprio in questi giorni, veniva purtroppo a mancare il grande tenore Carlo Cossutta, in assoluto una tra le migliori voci del XX secolo.

       Nato a Trieste nel 1932, era presto emigrato in Argentina, a Buenos Aires, dove aveva iniziato lo studio del canto, dapprima come baritono, poi come tenore e da dove la sua fulgida carriera aveva spiccato il volo, carriera che l'aveva portato a cantare nei massimi teatri mondiali, quali il famoso Teatro Colon di Buenos Aires, dove la Direzione gli affidò i ruoli principali in ben undici stagioni consecutive. Il suo debutto in Europa risale al 1962, al "S. Carlo" di Lisbona, riscuotendo quindi due anni dopo, il suo più grande successo al "Covent Garden" di Londra con "Rigoletto". Seguirono la Scala di Milano, il Metropolitan di New York e poi Vienna, Amburgo, Monaco di Baviera, Parigi, Roma, Mosca, Città del Messico, San Francisco, Chicago, Houston, etc., sotto la direzione autorevole dei più prestigiosi Direttori d'orchestra, tra cui Herbert von Karajan, con il quale aveva inciso il Requiem di Verdi, assieme a Mirella Freni, Christa Ludwig e Nicolai Ghiaurov.

       Cossutta è stato in particolare un grandissimo Otello, opera che ha interpretato più di duecento volte, ma ha pure ricoperto tante volte i ruoli da protagonista delle più importanti opere di Verdi, Donizetti, Puccini, Mascagni, Saint Saens. Durante la sua lunga attività artistica aveva affrontato sia l'impegno di importanti Oratori e Messe di Händel, Mozart, Beethoven e Verdi, che il repertorio moderno. Ammirava il compositore argentino Ginastera e resta indimenticabile la sua vibrante interpretazione a Buenos Aires del nuovo "Inno alla bandiera" dell'Argentina, davanti a migliaia di persone, uno dei momenti più indimenticabili della sua vita, come mi aveva confidato. Il suo amico e collega Placido Domingo lo aveva voluto nella giuria del Concorso di canto intitolato al proprio nome.

       Amava Trieste, ma soprattutto il Carso, Santa Croce, dove era nato e dove era ritornato ad abitare. Come spesso accade, la sua città non ha però saputo cogliere l'occasione di invitarlo a cantare con la dovuta frequenza.

       Visto una prima volta, l'impressione era di averlo conosciuto da sempre, allegro, simpatico, alla mano e, perchè no, amico, dalla battuta pronta. Non sapendo chi fosse, nessuno avrebbe immaginato che la stessa persona potesse essere nel contempo un artista di simile levatura, un interprete dalla voce squillante ed appassionata, capace di calarsi nei caratteri di tanti personaggi diversi.

       Lo avevo conosciuto molto tempo fa ad un Gala di beneficenza, al Teatro Politeama di Trieste, al quale avevo avuto l'onore di essere invitato a partecipare quale ospite anch'io, suonando ovviamente il flauto. La sua generosità è legata al mio ricordo pure per un'altra manifestazione di beneficenza, nel 1990 all'Auditorium di Gorizia, dove tra l'altro, fornendole in questo caso un'occasione davvero unica, aveva cantato assieme all'ottimo mezzosoprano Ayurzana Dolgor, proveniente dalla lontana Mongolia e che proprio in quel periodo si stava perfezionando al Conservatorio "Tartini" di Trieste, durante il periodo della mia Direzione. In quell'occasione Cossutta aveva pronosticato a Dolgor, come poi è realmente avvenuto, una grande carriera.

       Ma è stato in seguito, nel 1998, che ho avuto la possibilità di conoscerlo veramente, stando assieme a lui per un'intera settimana, dalla mattina alla sera. Aveva accettato con entusiasmo il mio invito a tenere un ciclo di lezioni ai Corsi Estivi Internazionali di Perfezionamento Musicale, che allora andavo organizzando in Istria nell'ambito del Summer Music Festival "HORTUS NIGER". Il suo nome da solo era stato capace di far accorrere giovani studenti sin dal Giappone, dalla Cina e dalla Corea, ai quali il grande artista aveva saputo insegnare innanzitutto l'umiltà, la serietà dell'impegno ed il lavoro costante, senza i quali la voce non è sufficiente per riuscire. Negli intervalli, ricordo, amava fare quattro passi, parlare con i contadini, rivolgendo loro domande sul vino, sull'olio e le varietà del miele ed essi si stupivano per la sua competenza. Oltre al prezioso insegnamento, era anche la profonda umanità quella che riusciva costantemente a trasmettere agli allievi estasiati, i quali, dopo le sue dimostrazioni a piena voce, non trovavano quasi più il coraggio di emettere un suono.

       Abituato a ben altri palcoscenici, quella sua prima esperienza da docente sul palco del teatrino di Brtonigla (Verteneglio), dopo quasi quarant'anni di fulgida carriera, lo aveva entusiasmato al punto che la settimana dopo mi aveva persino ritelefonato per chiedermi quando ci sarebbe stata un'altra simile occasione di stare ancora con i giovani. Ed è così che mi piace ricordarlo, tra i giovani, emozionandomi mentre riascolto la registrazione della sua voce che canta quel famoso Inno alla bandiera, ora inserito in un CD e che Carlo mi aveva fatto ascoltare in anteprima, in macchina, durante quelle splendide giornate.




TEMPLARI IN MUSICA
(di Giorgio Blasco)
(da "ARTECULTURA" - Hammerle Editori)
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Il Gran Maestro Jacques de Molay
       (...omissis...) Quello che invece stiamo affrontando è il discorso sul rapporto tra Templari e musica, o meglio, sarebbe più esatto dire i Templari "in" musica.

       Infatti, non riveste particolare interesse storico o musicologico approfondire quale tipo di musica venisse eseguita, ad esempio, durante i Capitoli che si tenevano nei monasteri o nei castelli di quei valorosi Cavalieri, sia in Europa che in Terrasanta. Si trattava senz'altro, come è facilmente desumibile da qualsiasi manuale, di musica corale da chiesa, di tipo gregoriano, il cantus planus (fr. plain chant). In fin dei conti, pur se guerrieri, erano comunque monaci o ne avevano abbracciato la regola, una specifica, quella scritta appositamente per il loro Ordine da San Bernardo da Chiaravalle.

       Cosa molto più interessante sarebbe invece, ma di questo le cronache di allora non si occupavano, il poter scoprire se, in relazione alla loro lunga permanenza in quelle terre d'outre-mer, a contatto con altre culture e con altri tipi di musica, non solo la loro conoscenza, ma anche il loro gusto "musicale", ad esempio il modo di cantare gli inni religiosi, ne venisse in qualche modo influenzato. Sicuramente avranno ascoltato la musica locale che veniva suonata o cantata nei palazzi, nei mercati o dalle tribù dei deserti orientali.

       In epoche successive altri compositori subiranno l'influsso dei modi musicali di altri popoli. Lo stesso Vivaldi, dalle finestre dell'Ospedale della Pietà, avrà certamente ascoltato e meditato sulle caratteristiche dei canti dei marinai stranieri che arrivavano a Venezia con le loro navi, attraccando alla riva degli Schiavoni, rimanendone presumibilmente influenzato, come del resto è stato accertato.

       Ho voluto a questo punto, in assenza di una documentazione d'epoca medievale, provare a verificare cosa fosse possibile rinvenire in campo musicale sotto la voce "Templari" e, per la verità, la messe non è stata abbondante.

       Già conoscevo l'esistenza dell'opera del compositore Otto Nicolai, su libretto di Girolamo Maria Marini, intitolata "Il Templario" (1939), melodramma in tre atti dedicato a Maria Teresa d'Asburgo-Lorena e rappresentata la prima volta al Regio di Torino l'11 febbraio 1840 con la direzione di Giovanni Battista Polledro e poi, sempre nel 1840, alla Scala di Milano. Troviamo notizie di ulteriori rappresentazioni al teatro La Fenice di Venezia durante il Carnovale e Quadragesima del 1840-41 e ancora alla Scala nel carnevale del 1866. La stessa opera, con notevoli modifiche nella strumentazione, venne successivamente proposta in una nuova versione a Vienna, nel 1845, con il titolo "Der Tempelritter" (Il Cavalier Templare). Le cronache ci riferiscono pure i nomi dei primi interpreti.

       La trama racconta della storia, partorita dalla penna di Walter Scott e degli amori del cavaliere Ivanhoe, vicenda nella quale si inseriscono le figure del Cavaliere Templare Briano (Brian) di Bois-Guilbert e del Gran Maestro dei Templari, Luca di Beaumanoir.

       Analizzando la posizione dei Templari nella vicenda di Ivanhoe, c'è da dire che essi non ne escono granchè bene, perlomeno quanto a moralità: il Cavaliere Templare Brian de Bois Guilbert compare soltanto in quanto invaghito di Rebecca, figlia del ricco ebreo Isacco, che egli, essendone respinto, rapisce, portandola prigioniera presso la sede del suo Ordine. Il ruolo del Gran Maestro Lucas de Beaumanoir consiste invece nel fatto che, durante una sua ispezione nella comunità templare di Templestowe, a lui sottoposta, si ritrova a scoprirvi Rebecca, prigioniera di Brian e, come se non bastasse, a condannarla al rogo come strega, in quanto, secondo lui, colpevole di aver fatto innamorare Brian de Guilbert con un sortilegio. Prima di essere bruciata, Rebecca chiede, su consiglio di Brian, il giudizio di Dio: sarà risparmiata se entro la sera un cavaliere combatterà vittoriosamente per lei. A combattere per la sua colpevolezza viene chiamato proprio Brian, che però nel duello viene sconfitto da Ivanhoe.

       La pubblicazione (Edimburgo) del romanzo di Scott è datata 1818, pochi anni dopo quel 1804, cui viene fatta risalire la rinascita in Francia dei movimenti neotemplari. Si riparlava dunque di Templari, poiché la cosa era tornata di moda, senza peraltro, dopo secoli di preminente oblìo, averne ancora recuperato la vera storia e l'esatta dimensione. Troppo spesso si dimentica che se fu il Papa Clemente V a sospendere l'Ordine, non era stato però un Papa a costituirlo. I Templari riconoscevano, oltre a quella del Gran Maestro, soltanto l'autorità del Papa e questi aveva voluto, per opportunità, riconoscerne l'Ordine. Pur collocandosi la vicenda di Ivanhoe in tempi non sospetti per i Templari, appare evidente, da parte dell'autore, l'aver seguito antistoricamente una corrente di pensiero, risultato di avvenimenti successivi e che non viaggiava propriamente in favore dei nostri Cavalieri.

       In precedenza, sempre ispirato a Ivanhoe, a Riccardo Cuor di Leone ed alle lotte tra Sassoni e Normanni, era stato rappresentato, ancora nel 1829 allo Stadttheater di Lipsia, il melodramma in tre atti "Der Templer und die Jüdin" (Il Templare e l'ebrea) del compositore Heirich August Marschner, su libretto di Wilhelm August Wohlbrück tratto da Scott e dal dramma "Das Gericht der Templer" (Il tribunale dei templari) di Johan Reinhold von Lenz. L'azione si svolge nel 1194 tra il castello di Torquilstone in Inghilterra e l'abbazia templare di Templestowe, retta dal citato Gran Maestro Lucas de Beaumanoir. L'ebrea citata nel titolo dell'opera di Marschner è appunto Rebecca.

       Arrivati qui, l'elenco si esaurirebbe, a meno di non cercare per analogia sotto la voce "Ivanhoe" ed a questo punto cominciano le sorprese.

       Scopriamo così che nel 1820, al Covent Garden di Londra, era stato rappresentato il dramma musicale di John Parry, su libretto di Samuel Peazley, dal titolo significativo "Ivanhoe, or The Knight Templar" (Ivanhoe, o il Cavaliere Templare).

       Al Teatro de l'Odéon di Parigi, il 15 settembre 1826 viene messsa in scena l'opera in tre atti di Gioachino Rossini "Ivanhoe" (libretto di Emile Deschamps e Gabriel-Gustave de Wailly), un pastiche derivato da brani di precedenti opere rossiniane quali "Cenerentola", "Tancredi", "La gazza ladra", "Zelmira" e "Semiramide", adattati da Antonio Pacini e nel quale figurano i personaggi templari di Boisguilbert e di de Beaumanoir.

       Sempre con il titolo "Ivanhoe" il Teatro La Fenice di Venezia rappresenta nel 1832 un altro melodramma in due atti con musica di Giovanni Pacini e libretto di Gaetano Rossi. Seguono, cronologicamente, l'opera "Ivanhoe" in tre atti di Tommaso Sari, andata in scena ad Ajaccio nel 1862 e la cantata "Ivanhoe" di Victor Sieg su testo di Victor Roussy, eseguita la prima volta a Parigi nel 1864.

       Un cambiamento nel titolo, ispirato dal nome di una protagonista della medesima vicenda, lo abbiamo con l'opera in tre atti "Rebecca", con musica di Bartolomeo Pisani su libretto di Francesco Maria Piave (prima rappresentazione alla Scala nel 1865). Gli ultimi Templari protagonisti della vicenda di Scott li ritroviamo, ancora sotto il titolo di "Ivanhoe", nelle omonime opere di altri musicisti e precisamente Attilio Ciardi (melodramma in quattro atti su libretto di Cesare Bordiga, prima esecuzione nel 1888 al Regio Teatro Metastasio di Prato), quindi Arthur Sullivan (opera in tre atti, libretto di Julian Russel Sturgis, rappresentata prima alla Royal English Opera House di Londra nel 1891 e poi a Liverpool nel 1895). Chiude la rassegna l'opera romantica "Ivanhoe", musicata da Charles Hutchinson su libretto di M. Byron ed andata in scena a Londra nel 1907.

       Tralasciamo volutamente il filone collegato al Graal, che ci porterebbe a richiami wagneriani ed a percorsi sin troppo sfruttati. (...omissis...)